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Economia

Riforma della P.A., RSU della Camera di Commercio: "A rischio gli investimenti a favore dello sviluppo"

Le stime portano a quantificare in circa 400/500 milioni di Euro i proventi che verranno complessivamente a mancare al Sistema camerale

L’incidenza del Sistema Camerale sulla spesa pubblica nazionale è dello 0,2% (contro il 24,1% delle Amministrazioni Centrali); dal 2007 al 2012 gli interventi economici realizzati dal Sistema camerale sono aumentati del 47% e dal 2003 al 2012 le spese del personale sono calate del 5% (personale totale -11,9%, il doppio della media della P.A., (-6,9%). Le Camere di Commercio valgono appena lo 0,2% dei costi del personale pubblico in Italia; le Amministrazioni Centrali il 56,2%. Nonostante questi numeri e il gradimento delle imprese per l’operato delle Camere di Commercio, testimoniato da numerosi studi a livello nazionale e locale, il Governo Renzi ha deciso di ridimensionare fortemente il ruolo delle Camere. Infatti, l’art. 28 del D.L. 90/2014 prevede, a partire dal 2015, la riduzione del 50% del diritto annuale pagato dai soggetti iscritti al Registro delle Imprese alle Camere di Commercio. Le stime di cui disponiamo portano a quantificare in circa 400/500 milioni di Euro i proventi che verranno complessivamente a mancare al Sistema camerale. Inoltre, sulla base di alcuni recenti studi di Unioncamere e CGIA di Mestre, è possibile stimare che dalla novità normativa potrebbe scaturire un effetto recessivo quantificabile in 2,5 miliardi di Euro.

Per la Camera di Lecco i minori introiti ammonteranno a circa 2,5 milioni di Euro a fronte di proventi correnti che annualmente sono pari a circa 7,6 milioni di Euro. Per consentire un risparmio medio per impresa pari a 100 Euro, questi tagli metterebbero a rischio le numerose attività che le Camere di Commercio gestiscono per legge e, in particolare:

  • agevolare l’accesso al credito delle PMI anche attraverso il supporto ai Consorzi fidi: la Legge di stabilità 2014 prevede per quest’anno e per i prossimi due che le Camere di Commercio destinino 70 milioni di euro al rafforzamento patrimoniale dei Confidi (con il taglio del diritto annuale questa norma sarebbe priva di copertura economica);
  • funzioni di promozione economica tramite bandi, finanziamenti, progetti soprattutto per l’internazionalizzazione e l’innovazione del tessuto imprenditoriale. Grazie ai contributi del Sistema camerale italiano viene finanziato il 50% dell’investimento imprenditoriale. Nel 2012 gli interventi camerali (che spesso hanno permesso a numerose imprese del territorio di sopravvivere alla difficile congiuntura economica che stanno ancora attraversando) hanno superato, a livello nazionale, i 500 milioni di euro;
  • funzioni di regolazione del mercato e, in particolare, la metrologia legale con funzione di tutela della fede pubblica attraverso il controllo degli strumenti di misura utilizzati negli scambi commerciali.

Le conseguenze negative della riduzione del tributo sarebbero particolarmente pesanti per il nostro Ente e per le altre Camere di Commercio della Lombardia che hanno già assunto impegni finanziari importanti, anche per onorare il pluriennale Accordo di Programma per la competitività delle imprese siglato proprio con la Regione. L’Accordo prevede il co-finanziamento di progetti per il sostegno delle economie provinciali e gli Enti camerali sono il “braccio operativo” irrinunciabile per la realizzazione delle diverse iniziative: dal 2006 grazie all’Accordo sono stati investiti per le imprese lecchesi oltre 4,2 milioni di Euro.

Non bisogna altresì sottovalutare che la riduzione del diritto annuale avrebbe conseguenze negative sui conti pubblici del nostro Paese, considerato che le Camere di Commercio figurano fra gli Enti inclusi nel Conto consolidato dello Stato. La norma sopra citata potrebbe infatti concorrere al superamento del limite massimo consentito dai vincoli europei per il rapporto deficit/PIL, nonostante la modesta incidenza del gettito garantito dal diritto annuale rispetto al valore complessivo delle entrate tributarie nazionali. 

Se l’intento del Governo è quello di garantire un maggior livello di competitività, riducendo i costi sostenuti dai soggetti privati e rendendo più efficace e meno “burocratica” l’organizzazione pubblica italiana, per quale ragione ridurre un tributo finalizzato a sostenere le nostre produzioni in Italia e all’estero?

Perché non immaginare una riduzione dell’IRAP (sollecitata peraltro anche dalle Istituzioni europee e più volte auspicata da molti degli ultimi Governi in carica) o degli oneri sociali e una riforma che assuma a modello quelle Organizzazioni che più di altre hanno dato prova di saper fare bene, anche grazie alla competenza e alla dedizione di migliaia di lavoratori orgogliosi di contribuire all’assolvimento di pubbliche funzioni?

Anche l’ipotesi del Governo di togliere alle Camere di Commercio le funzioni inerenti la tenuta del Registro delle Imprese, per affidarle al Ministero dello Sviluppo Economico, lascia perplessi e ci rammarica. 

Gli Enti camerali hanno dato prova di essere in grado di alimentare e aggiornare il contenuto del Registro in modo efficiente, informatizzandolo totalmente in pochi anni e garantendo a imprese e professionisti la possibilità di attingere telematicamente ad un patrimonio di informazioni economico-giuridiche unico in Europa e nel mondo (il Registro italiano è best practice a cui si ispirano molti Paesi).

Il contributo professionale di tutti i colleghi all’elevato standard qualitativo dei servizi pubblici offerti dalla nostra Camera e della sua Azienda speciale Lariodesk Informazioni è stato una costante, anche per quel che riguarda la creazione dello Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP) per il quale, in molte realtà territoriali, le Camere di Commercio sono l’Ente di riferimento e il vero (e unico) motore per le attività di progettazione e di sviluppo delle imprese.

Può davvero la riforma della Pubblica Amministrazione italiana fare a meno del contributo che il Sistema camerale è in grado di fornire alla modernizzazione del Paese? E’ giustificabile sprecare le competenze e le capacità dimostrate dal personale delle Camere di Commercio di produrre servizi pubblici di qualità in maniera efficiente?

Si pone, infine, un problema occupazionale importante: gli 11.000 addetti del sistema camerale italiano, di cui si calcola già in questi giorni un esubero quantificato in 3.000 unità, dove verrebbero ricollocati?

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