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Anche Lecco celebra il XXV Aprile, a porte chiuse e con i tricolori alle finestre

Il sindaco Brivio: «I valori conquistati nella lotta di Resistenza non possono essere contagiati da nessun virus, perché sono entrati nelle viscere della storia e soprattutto nel nostro popolo. Giuste le limitazioni di questi giorni per sconfiggere insieme l'epidemia»

Anche Lecco celebra il 25 Aprile con una manifestazione eccezionalmente "a porte chiuse". Oggi, in occasione del 75° anniversario della Liberazione, la tradizionale cerimonia istituzionale si terrà infatti nel rispetto delle restrizioni in vigore per il contenimento del contagio da Coronavirus. Il programma delle celebrazioni prevede alle 9:30 la santa messa officiata nella Basilica di San Nicolò dal Prevosto di Lecco monsignor Davide Milani, a cui prenderanno parte anche il sindaco di Lecco Virginio Brivio, il presidente della Provincia Claudio Usuelli, il sottosegretario di Regione Lombardia Antonio Rossi e il presidente di Anpi Lecco Enrico Avagnina.

La Città di Lecco, medaglia d'argento alla Resistenza

Alle 10:30 al Monumento ai caduti in Largo Montenero si terrà la deposizione delle corone di Comune di Lecco/Provincia di Lecco, Regione Lombardia e Anpi Lecco (che depositerà cuscini floreali anche sulle tombe di partigiani). Qui verrà data lettura al Decreto di attribuzione alla Città di Lecco della medaglia d'argento alla Resistenza. L'Amministrazione ha invitato tutti i cittadini ad esporre il tricolore alle finestre delle loro abitazioni. Ecco il discorso del sindaco Virginio Brivio già reso noto dal Comune in occasione dell'importante ricorrenza. Insieme al valore della libertà e l'omaggio a chi ha combattutto per ottenerla, il primo cittadino tocca anche il delicato tema dell'emergenza Coronavirus.

Non c'è nessuno di noi che non colga lo stridente contrasto tra la Festa  della liberazione e la libertà condizionata alla quale ci sta costringendo il coronavirus. Voglio premettere che non ho condiviso sin dall'inizio la simmetria e le similitudini tra l'ultima guerra e questa pandemia. Capisco la necessità di semplificare per dare sostanza alla tragedia del secolo scorso e alla sciagura universale di questo tempo. Capisco anche i richiami all'economia di guerra per certe analogie che saranno ancora più esplicite nei giorni che verranno, ma un conflitto mondiale è profondamente diverso da una pandemia. Troppe le differenze su ogni piano per avvicinare e drammatizzare una situazione che è già drammatica di per sé.

Le bombe di allora sono assai lontane, per nostra fortuna, dalle pur crudeli giornate di oggi.

Non si tratta di contare i morti, di stilare statistiche, ma di distinguere le valutazioni storicizzate con la luttuosa cronaca del presente. Semmai è utile tornare sulla premessa, per cogliere il forte anelito alla libertà dopo il ventennio fascista e la legittima rivendicazione della libertà individuali, ereditate e fondamento di quella carta costituzionale che nacque in quelle lotte e in quelle temperie. In questi ultimi giorni si vanno moltiplicando le voci di chi, richiamandosi alla prima parte della costituzione arriva persino a immaginare una deriva totalitaria della nostra democrazia. Capisco lo spirito, ma fatico a condividere i toni e anche richiami giuridici. È vero che il diritto alla salute viene contemplato negli articoli successivi rispetto al capitolo dei diritti individuali, ma non è tempo di stilare sommarie graduatorie. La Costituzione va interpretata e declinata nel contesto nel quale opera e chi mai avrebbe prefigurato un fenomeno così devastante e universale? Più semplicemente cosa ci facciamo delle libertà di muoverci e operare se viene meno la salute, se la vita stessa ci sfugge di mano, se la morte ghermisce larghe fette di popolazione? Sono altresì convinto che lentamente le briglie vadano sciolte ma, non essendo né in Cina né in Corea e neppure in Danimarca, credo che le nuove misure debbano tener conto del temperamento dei nostri connazionali, dalle Alpi al Mediterraneo.

Il ritorno all'attività è fondamentale ma deve procedere di pari passo con la scienza che a sua volta mostra di non avere certezze. Fino a qualche giorno fa l'organizzazione mondiale della sanità riteneva probabile una nuova ondata del virus a ottobre: ora la considera certa!

Ci sono interessi generali che devono conciliarsi con quelli particolari, altrimenti non ne usciamo dalla cappa di questa stagione infernale e credo che un sacrificio oggi, personale e collettivo, ci sarà restituito domani. Mi rendo conto di aver toccato un argomento sensibile, ma non me la sento di evocare l'afflato liberatorio del 25 aprile, se io per primo non lo coniugo con il fenomeno che siamo chiamati ad affrontare. Piuttosto c'è da ricordare che quei valori conquistati nella lotta di resistenza non possono essere contagiati da nessun virus, perché sono entrati nelle viscere della storia e soprattutto nel nostro popolo. Vale la  pena di ricordare come una delle parole più frequentate  in questo periodo sia resilienza, non a caso sinonimo di resistenza cioè la capacità di sfidare con tenacia e duttilità il nemico, consapevoli che in gioco c'è la nostra vita, quella dei nostri cari, quella dei nostri concittadini (atteggiamento ben espresso nel decreto di riconoscimento della medaglia d’argento al valor militare della città di Lecco). Ma vi è di più: come non cogliere il ponte generazionale tra i combattenti di allora e gli anziani che ci lasciano in questa apocalittica congiuntura? Se ne sta andando la generazione dei ricordi, della memoria collettiva, della saggezza oltre che quel patrimonio di affetti che permette di passare da un secolo all'altro senza traumi, senza rotture, senza cesure. Occorre ritrovare l'unità di popolo che è valore lontano da un momentaneo concetto di unanimismo che non può essere mai un caposaldo della democrazia.

So che continueremo a dividerci per opinioni e appartenenze, ma so anche che la consapevolezza del presente può aiutarci ad evitare facili strumentalizzazioni e, soprattutto, a non mettere in campo quella acrimonia, non dico odio, che per molti anni ha inquinato la vita pubblica e politica del nostro paese. La mia non vuole essere una mozione allo stare insieme a tutti i costi, ma una mozione agli  affetti: perché l'umanesimo non deve avere colore se non quello ambìto da ciascuno di noi e dal profondo del cuore, di un arcobaleno che solchi il cielo di Lecco e del nostro paese e incroci il tricolore, nelle nostre case e nelle nostre istituzioni.

Virginio Brivio, sindaco di Lecco

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