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Giovedì, 25 Aprile 2024
L'intervista

Marcello, volontario lecchese in Donbass: “Guerra iniziata nel 2014. Cosa aspettiamo a dialogare?”

Marcello Berera, 28enne fondatore di ‘Zeta’, ha vissuto nella zona del conflitto dal 2018 al 2020. In precedenza aveva fatto la spola per consegnare gli aiuti umanitari raccolti a Lecco e non solo

“La guerra in Ucraina è iniziata nel 2014, non oggi”. Il virgolettato, spesa come premessa, è di Marcello Berera, 28enne lecchese laureato in Scienze Politiche alla Statale che prima ha portato svariati aiuti umanitari, raccolti nella sua città e in giro per l'Italia, alla popolazione di quell'area della nazione, con prima spedizione datata 2015, dopodichè vi ha vissuto per un paio d'anni, da metà 2018 fino allo scoppio della pandemia, facendo base a Donetsk, cuore delle Repubbliche. Rientrato, poco tempo fa ha fondato Zeta, progetto editoriale che per ora ha sfogo sui social network. La visione di quel che sta accedendo in quella grossa fetta d'Europa non può che essere diversa e sfaccettata rispetto a quella più comune. La strada, a suo parere, deve tornare a essere quella del dialogo, tra Russia e resto del Mondo, per arrivare alla fine del conflitto armato: di seguito la nostra intervista a ’tappe’.

Marcello, volontario in Donbass: “Cosa aspettiamo a dialogare?”

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Marcello Berera, a sinistra, in Donbass con Vittorio Rangeloni e Alberto Andreotti

Marcello, ci racconti l'evoluzione di questi otto anni di guerra?
“Le ragioni della guerra in Ucraina risalgono almeno all’inverno a cavallo tra il 2013 e il 2014. L’allora Presidente ucraino Yanukovič rifiutò di firmare un accordo di libero scambio con l’Unione Europea, perché lo considerò altamente svantaggioso per l’Ucraina, la cui economia era perfettamente integrata con lo spazio ex-sovietico, ma non con l’Europa occidentale. Questa decisione diede inizio a una serie di proteste, che però erano inizialmente limitate a poche centinaia di giovani europeisti. Il volto della protesta cambiò quando le richieste si allargarono alla critica trasversale contro l’intero sistema oligarchico e corrotto. Tra i dimostranti iniziarono a comparire esponenti di partiti e gruppi paramilitari nazionalisti e con dichiarate simpatie neo-fasciste, che monopolizzarono e armarono la piazza della protesta (Maidan) e la occuparono stabilmente dalla fine di Novembre 2013 fino al Febbraio 2014. Costrirono un palco dove salirono diplomatici ed esponenti politici statunitensi ed europei che si recavano in Ucraina per esprimere il loro sostegno alla protesta e l’opposizione ucraina, prima di ogni colloquio con il legittimo e democraticamente eletto Presidente Yanukovič, si riuniva presso l’ambasciata USA a Kiev. I leader dell’opposizione rifiutarono la proposta di indire elezioni e permisero che questi gruppi nazionalisti conquistassero in armi i palazzi del potere e instaurassero un nuovo Governo composto sempre da oligarchi, ma con dichiarate simpatie occidentali e fortemente anti-russe, tanto che la prima proposta di legge fu il divieto di parlare la lingua russa nella pubblica amministrazione, nelle scuole e nei mezzi di comunicazione. La storia dell’Ucraina è strettamente intrecciata e per lunghi secoli addirittura sovrapposta a quella della Russia, tant’è che in tutto il Paese iniziarono proteste contro il nuovo Governo di Kiev, salito al potere, nei fatti, con un colpo di Stato violento. Da Odessa, sul Mar Nero, a Donetsk, in Donbass, tutto il Sud e l’Est dell’Ucraina iniziò a ribellarsi per difendere la propria identità, in quanto russofoni, e la propria sovranità, perché non erano disposti ad accettare che il destino del loro Paese venisse deciso a Bruxelles o a Washington. La risposta del Governo ucraino fu violenta, mandando i gruppi paramilitari nazionalisti a sedare le proteste a Odessa e ne scaturì una strage, andate ad approfondire, mentre contro il Donbass mandò l’esercito regolare ad attaccare le città e i villaggi “ribelli” che furono costretti ad armarsi e difendersi. Nel frattempo la Russia annesse la Crimea attraverso un referendum che si rivelò un plebiscito e senza sparare un colpo, ma in tutta l’Ucraina orientale scoppiò una feroce guerra civile tra l’esercito regolare ucraino e le milizie popolari delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, un conflitto che fino a un paio di settimane fa è proseguito sottotraccia, a bassa intensità, nonostante gli accordi di Minsk 2 per il cessate il fuoco e completamente dimenticato dall’opinione pubblica internazionale, che oggi giustamente si indigna per i morti di questi ultimi giorni, ma per 8 anni ha ignorato le 14’000 vittime e il milione e mezzo di sfollati provocati dalla guerra in Donbass, nell’Ucraina orientale. Mi sono dilungato e per ovvie ragioni non possiamo entrare troppo nei dettagli, col rischio di annoiare chi ci legge, ma se non si conoscono e non si capiscono questi antefatti, qualsiasi idea che abbiamo del’attuale guerra in Ucraina è completamente distorta”.

Come si è svolta la vita in questa fase di ‘congelamento’?
“Dal Febbraio del 2015, quando fu sottoscritto l’accordo di Minsk 2 per il cessate il fuoco, fino a un paio di settimane fa, il fronte era stabile, anche se quotidianamente gli osservatori internazionali dell’OSCE registravano e riportavano centinaia di violazioni della tregua, con danneggiamenti e morti anche tra gli obiettivi civili. Quindi l’incubo della guerra, per queste popolazioni, è stata una costante negli ultimi 8 anni. Inizialmente queste persone, che oggi chiamiamo separatisti, nemmeno volevano la secessione, ma chiedevano ampie autonomie regionali all’interno di uno Stato federale, per poter tutelare e difendere la loro autonomia e la loro identità, quando però hanno visto l’esercito ucraino entrare nei loro villaggi e nelle loro città si sono sentiti in dovere di armarsi e costituire due piccoli Stati indipendenti, le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk, sostenuti ma non riconosciuti, fino a due settimane fa, dalla Russia”.

Più di una volta sei stato nelle Repubbliche per consegnare aiuti umanitari:
“Sì, fin dall’inizio del conflitto mi sono impegnato per raccontare ciò che stava accadendo in Ucraina e portare aiuti umanitari alla popolazione del Donbass. Oggi, che a morire sono gli ucraini, tutti, giustamente, si adoperano per aiutarli, ma in questi 8 anni di guerra, dove a morire erano perlopiù civili, colpevoli però di essere filo-russi, nessuno si è mai indignato o adoperato per loro, questo è un atteggiamento ipocrita, perché in guerra non ci sono morti di serie A o di serie B. L’informazione occidentale, o forse sarebbe meglio dire la propaganda occidentale, in questi anni ha sempre dipinto la Russia come un aggressore, ma nessuno è mai andato in Crimea o in Donbass a chiedere cosa ne pensassero quei popoli. Io ci sono stato, ci ho vissuto, ho condiviso gioie e paure con loro e quando gli chiedevo chi fossero gli aggressori, mi rispondevano che l’unico invasore era l’esercito ucraino, composto da soldati che magari arrivavano dalla Galizia, dalla parte opposta del Paese, per combattere contro gente che difendeva le città e i villaggi in cui è nata e vissuta, che voleva continuare a parlare in russo, perché sono russi e vogliono continuare ad esserlo”.

La reazione russa era prevedibile rispetto alle tensioni delle settimane precedenti?
“No, la reazione russa era del tutto imprevedibile. Momenti di tensione si sono verificati ciclicamente dal 2015 al 2021, senza però mai lasciar pensare che la situazione potesse degenerare. Per mesi la diplomazia russa ha cercato inutilmente delle garanzie da parte dell’Occidente in merito al non ingresso dell’Ucraina nella NATO, l’alleanza militare creata proprio in funzione anti-Russia durante la Guerra Fredda. Anche se l’Ucraina non era di fatto uno Stato membro dell’Alleanza Atlantica partecipava agli addestramenti delle truppe NATO come partner esterno e il suo esercito, che nel mentre continuava a combattere contro le milizie popolari del Donbass, veniva addestrato e armato dagli istruttori dei Paesi NATO. Purtroppo le preoccupazioni di Mosca erano fondate e non trovando una sponda diplomatica, ha deciso di optato per un attacco preventivo, che però nessuno si aspettava potesse davvero concretizzarsi, nemmeno alcuni dei più stretti collaboratori di Putin”.

Come ha reagito la popolazione all'intervento russo su larga scala?
“La popolazione del Donbass ha ovviamente visto di buon occhio l’intervento militare russo. Ormai era esasperata da 8 anni di guerra. Una frase che continua a circolare da quelle parti è che la Russia non ha iniziato questa guerra, ma sarà lei a porvi fine, infatti la giustificazione dell’intervento russo è proprio la difesa delle Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk di fronte al mancato rispetto degli accordi di Minsk 2 da parte dell’Ucraina. Anche alcune città e villaggi ucraini a ridosso della Crimea e del Donbass stanno accogliendo i russi come liberatori, ma è innegabile che l’opzione militare aumenterà l’odio anti-russo nel resto del Paese. Le modalità e la tempistica dell’intervento russo sono decisamente infelici”.

Qual è stato il ruolo dell'Unione Europea?
“L’Unione Europea ha dimostrato che nei momenti decisivi non esiste. Abbiamo visto Macron e Scholz parlare con Putin, ci sarebbe dovuto andare anche Draghi, ma questa è la dimostrazione che noi europei non sappiamo esprimerci con una sola voce e quindi perché Putin dovrebbe dialogare con noi? Che garanzie gli possiamo dare? Qual è il nostro margine di autonomia strategica dagli Stati Uniti e dalla NATO per presentarci al Cremlino come interlocutori degni di considerazione? Dovremmo iniziare a porci queste domande. I grandi sconfitti di questa guerra siamo noi europei perché ne pagheremo le conseguenze economiche. Avremmo dovuto proporci - o imporci - come mediatori e favorire un negoziato per la pace e la sicurezza, invece abbiamo armato e stiamo continuando ad armare l’esercito ucraino. Questa guerra serve alla Russia per difendere quelli che lei ritiene degli interessi vitali per la sua sopravvivenza nazionale - e noi non l’abbiamo capito - ma serve anche agli Stati Uniti, vi ricordate che all’inizio vi ho detto che nel 2014 politici e diplomatici statunitensi fomentavano le proteste a Kiev, che hanno portato a un colpo di Stato, che ha portato alla guerra civile? Serve agli Stati Uniti per indebolire contemporaneamente tanto la Russia quanto l’Europa. Putin è caduto in questa trappola, ma i nostri esponenti politici non l’hanno ancora capito, o non l’hanno voluto capire e ne pagheremo le conseguenze”.

Quale può essere l'evoluzione dello scenario?
“È difficile da dire. Io stesso, che non solo ho studiato la situazione, ma l’ho anche vissuta, non mi aspettavo che potesse avere questi sviluppi. La Russia ha sempre avanzato delle richieste precise e ragionevoli, vale a dire il riconoscimento dell’annessione della Crimea, la smilitarizzazione e la neutralità dell’Ucraina, per trasformarla in uno stato cuscinetto tra sé e la NATO e alleggerire l’inevitabile tensione che si creerebbe lungo un confine così esteso e privo di frontiere naturali. Nessuno ha voluto ascoltare queste proposte e, prendendo atto che gli accordi di Minsk 2 non sono mai stati realmente rispettati, la Russia ha agito di conseguenza. Sicuramente l’ha fatto in maniera tardiva e violenta, ma cosa credete che farebbero gli Stati Uniti se il Canada domani diventasse una nazione ostile e una minaccia alla loro sicurezza nazionale? Washington ha bombardato e/o invaso Stati sovrani per molto meno. La Russia è disposta a trattare, altrimenti l’esercito russo non sarebbero da giorni fermo alle porte di Kiev. Ora serve una mediazione, che però non c’è e Putin lo ha detto chiaramente a Macron: ‘O ci date garanzie o noi proseguiamo’. Cosa aspettiamo a dialogare?”.

In Europa si sta verificando un'ondata russofoba dal punto di vista culturale:
“I Russi appartengono indubbiamente alla grande famiglia dei popoli europei. La letteratura russa è parte della letteratura europea e la proposta dell’Università Bicocca, poi per fortuna ritirata, di cancellare un corso su Dostoevskij è ridicola e isterica. Il romanzo L’idiota è stato terminato da Dostoevskij a Firenze. Chi ha voluto questa guerra nel 2014 aveva come obiettivo quello di dividere economicamente la Russia dal resto dell’Europa e ci è riuscito costringendoci ad applicare le sanzioni e interrompere definitivamente l’entrata in funzione del gasdotto Nord Stream 2. Chi ha voluto questa guerra nel 2014 aveva come obiettivo quello di dividere politicamente la Russia dal resto dell’Europa e ci è riuscito, perché minacciando l’allargamento della NATO ha costretto Mosca a una tardiva e violenta risposta armata, precludendoci la possibilità di intrattenere normali rapporti diplomatici negli anni a venire. Chi ha voluto questa guerra nel 2014 aveva come obiettivo quello di dividere anche culturalmente la Russia dal resto dell’Europa e ci sta riuscendo, così come sono riusciti a dividere l’Ucraina dalla Russia. Ora però le colpe vanno ridistribuite: l’intervento militare voluto da Putin costringe l’Europa a prendere le distanze dalla Russia e se anche Mosca ottenesse le neutralità di Kiev, il popolo ucraino ora avrà purtroppo buone ragioni per odiare la Russia”.

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