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Martedì, 19 Marzo 2024
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Lecco, la città del ferro

La storia della lavorazione del ferro nel lecchese dalle origini all’età contemporanea

La presenza in Valsassina e Valvarrone di giacimenti di minerale ferroso, un patrimonio boschivo in grado di alimentare con il carbon fossile i forni fusori, l’abbondanza di corsi d’acqua da cui trarre l’energia motrice necessaria al funzionamento delle macchine, la vicinanza della piazza commerciale di Milano sono i fattori che stanno alla base della nascita e del successivo sviluppo nel Lecchese di una industria della trasformazione del ferro, le cui prime testimonianze risalgono al periodo romano e che, sotto i Visconti e gli Sforza, conosce un periodo di grande fioritura. Un sistema articolato di trafilerie e fucine piccole, a forte specializzazione ed elevata integrazione nonostante la frammentazione degli impianti, che garantisce una produzione considerevole ed estremamente diversificata di semilavorati.

Dalle botteghe artigiane e dalle aziende meccaniche lecchesi uscivano svariati prodotti: chiodi e fil di ferro, ma anche attrezzi agricoli, fibbie e catene. La maggior parte di questi prodotti era venduta a Milano, il resto nei vari Stati in cui era divisa l’Italia pre-unitaria. Importanti furono anche le commesse militari: l’industria lecchese produsse nel secolo XVI canne d’archibugio per l’esercito spagnolo, fornì a Napoleone cerchioni e assali per carri, tondini, sciabole e, nel 1866, armò con i propri fucili i volontari garibaldini della terza guerra d’indipendenza.

Nel primo decennio del Novecento alle produzioni tradizionali si aggiunse quella delle macchine per i diversi settori industriali (meccanico, serico, alimentare, elettrico e chimico). Si realizzavano materiali per ferrovie, aerei, navi, automobili, moto e biciclette ma anche teleferiche, impianti telefonici o per linee elettriche, ponti e stazioni in ferro. Sono gli anni in cui tre grandi dinastie imprenditoriali (i Badoni, i Falck e i Redaelli) legano il loro nome all’industria del ferro lecchese introducendo, primi in Italia, significative innovazioni nelle tecnologie produttive e nell’organizzazione commerciale.

La Badoni di Lecco

Dalle origini all’età contemporanea

La presenza di giacimenti di minerale ferroso in Valsassina e di torrenti da cui trarre l’energia idraulica sono alla base della vocazione metallurgica di Lecco. Queste miniere furono sfruttate fin dall’Antichità, come testimoniano anche i reperti scoperti nel sito minerario dei Piani d’Erna (II sec. a.C.), ma essendo solamente le propaggini dei ben più ricchi bacini dell’area bergamasca e bresciana, erano di mediocre sfruttabilità e, intorno alla fine del Settecento, si esaurirono nonostante gli sforzi compiuti per individuare nuovi filoni. Il ferro puro era ricavato attraverso la riduzione, cioè la fusione del minerale a contatto con il carbone di legna.

Lavorazione del ferro

Anticamente, ciò avveniva all’interno dei bassifuochi: dei rudimentali altiforni che raggiungevano temperature di modesto calore. Durante il Medioevo furono introdotti gli altiforni alla bergamasca, concepiti nelle valli bergamasche e bresciane, che permisero la produzione di colate continue di ghisa. A metà dell’Ottocento subentrarono i forni a riverbero che portarono all’indipendenza dal carbone di legna, sostituito dal carbon fossile. L’esaurirsi delle miniere orientò gli imprenditori siderurgici verso una nuova attività: il riciclo dei rottami. Questa pratica, che permetteva grandi risparmi, divenne uno dei settori produttivi più redditizi e diffusi sul territorio lecchese.

Il Gerenzone

Lungo la vallata del Gerenzone, il principale dei tre torrenti che attraversano la città, sorsero centinaia di fucine e opifici per la lavorazione del metallo. L’energia idraulica fornita dalle sue acque e dagli altri corsi d’acqua minori (Caldone e Bione), concorse allo sviluppo industriale ed economico di tutto il comprensorio lecchese. Fin dal Medioevo, il Gerenzone fu sfruttato tramite una derivazione artificiale detta Fiumicella, che permetteva di raggiungere anche gli opifici situati a quote più elevate rispetto al letto del torrente.

Il Gerenzone

Nella seconda metà del XIX secolo il comparto metallurgico lecchese si trasformò in un’industria in senso moderno. Ciò fu possibile grazie all’opera pionieristica di Giuseppe Badoni, che introdusse nelle sue fabbriche importanti innovazioni tecniche e organizzative già impiegate all’estero, come il puddellaggio e l’impiego di forni a riverbero. I Badoni non furono i soli a sviluppare aziende all’avanguardia: Giorgio Enrico Falck impiantò il Laminatoio di Malavedo in associazione con le famiglie lecchesi Redaelli e Bolis. Alla fine dell’Ottocento nacquero molte nuove officine, distribuite in tutta la città, e alcune grandi fabbriche come il laminatoio dell’Arlenico e la Ferriera del Caleotto, che fu la prima a dotarsi di due forni Martin-Siemens.

Il Caleotto

Nel Novecento la meccanica beneficò anche delle commesse militari durante le due guerre mondiali e dopo il 1950, le aziende lecchesi raggiunsero l’apice. Lecco nel 1961 divenne il terzo polo industriale d’Italia dopo Varese e Milano.

Oggi le grandi industrie, entrate in crisi alla fine del secolo scorso, sono state sostituite da piccole e medie imprese, che si sono spostate in altri siti dell’area urbana, lavorando nuove leghe metalliche con tecnologie altamente specializzate.

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