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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca Casatenovo

Il finto "povero" con una maxi villa e parco privato nella Brianza lecchese

Un'importante operazione della guardia di finanza di Milano ha portato al sequestro di circa cinque milioni di euro. Sei, in tutto, gli indagati. Interessato anche il territorio lecchese

Una villa di 700 metri quadri con un giardino di cinque chilometri quadrati situato nella Brianza lecchese. È uno dei beni sequestrati dalla guardia di finanza di Milano, per un valore totale di cinque milioni di euro, alla fine di un'inchiesta per bancarotta fraudolenta e intestazione fittizia di beni, che ha portato anche all'emissione di sei misure cautelari.

Come illustrato dai colleghi di MilanoToday, al centro dell'inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, ci sono sei persone - di cui tre in carcere, una agli arresti domiciliari e due destinatarie di obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria - che sono accusate di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e trasferimento fraudolento di valori. Al momento sono in corso perquisizioni a Milano, Torino, La Spezia, Monza-Brianca, Napoli e Lecce con i cash-dog, i cani specializzati nella ricerca di contante.

Nel complesso sono stati sequestrati un immobile di Calco in provincia di Lecco del valore di 2,8 milioni di euro, capitale sociale di una società, e la villa con parco, che si trova all’interno di un residence di Casatenovo e ha un valore di oltre 2 milioni di euro. Quest'ultima era nelle disponibilità di uno degli indagati, il quale però aveva dichiarato redditi "esigui". Secondo quanto messo in luce dagli investigatori, l'edificio di Calco apparteneva a due persone vicini alla 'ndrangheta e con numerosi precedenti per reati finanziari, dalla bancarotta alla frode fiscale, passando per riciclaggio e abusivismo finanziario.

Le indagini hanno rivelato come il denaro sporco ottenuto violando la legge venisse riciclato dagli indagati facendo ricorso a prestanome e società 'schermo', così si eludevano anche le misure di prevenzione patrimoniale previste dalla normativa antimafia. Una delle società riconducibili agli indagati, inoltre, avrebbe ottenuto 500mila euro di contributi pubblici (chiedendone in totale un milione) per attività di internazionalizzazione dall'Ucraina, dalla Russia e dall'Albania, che però non erano mai avvenute.

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