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Maxi operazione

Il giochetto dell'Iva e dei contributi non pagati: frode da 21 milioni di euro

La Guardia di Finanza ha eseguito 14 misure cautelari nei confronti di una società lariana di servizi attiva nella grande distribuzione organizzata. Sequestrati quasi otto milioni

Maxi operazione della Guardia di Finanza contro le frodi ai danni dello stato. Il Gruppo di Como ha dato vita a un'articolata indagine che ha portato all'esecuzione di 14 misure cautelari personali, di cui 9 custodie cautelari in carcere, 4 arresti domiciliari e 1 obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, e l'applicazione del contestuale Decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, per complessivi 7,7 milioni di euro emesso dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale comasco su richiesta della Procura della Repubblica. La misura colpisce 21 persone fisiche e 19 persone giuridiche - residenti e aventi sede in Lombardia, Campania, Lazio e Piemonte - coinvolte, a vario titolo, in un'imponente frode fiscale commessa attraveso una una stabile associazione per delinquere nel settore della fornitura di manodopera, delle pulizie, del facchinaggio, dei trasporti e della logistica al servizio della grande distribuzione organizzata attiva nel territorio lariano.

Indagini, arresti e sequestro

Le attività di polizia giudiziaria, nate dopo il costante monitoraggio delle varie società cooperative operanti nel territorio lariano e dalla conseguente percezione di molteplici indici di rischio fiscali e valutari, hanno permesso di smontare un complesso sistema di frode fiscale perpetrato in forma associativa, ininterrottamente tra la fine del 2015 ed il 2022, attraverso la costituzione di 17 società cooperative, un consorzio e una srl - la società capogruppo - operanti nel campo dei servizi di facchinaggio, di pulizia, dei trasporti e della logistica.

Gli indagati, attraverso l’utilizzo fittizio dello schema societario, avrebbero commesso plurimi reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti (per complessivi 21.127.751,54 euro), di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti - per un ammontare di imposte evase per 496.542,40 euro e, ai fini Iva, per complessivi 3.750.659,78 euro -, di omessa dichiarazione - per un ammontare di imposte evase per complessivi 906.826,87 e per altri 737.676,89 euro ai fini Iva -, d'indebite compensazioni di imposta attraverso la sistematica compensazione di debiti tributari e previdenziali utilizzando crediti tributari inesistenti e/o non spettanti indicati nei modelli F24 presentati per 1.003.432,20 euro e di omessi versamenti legati all'Iva per altri 829.910 euro.

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In base alle indagini svolte, le società capogruppo, proponendosi quali partner economici vantaggiosi e credibili rispetto alla concorrenza, hanno acquisito numerose commesse da primarie aziende operanti nel territorio lariano e nazionale, oltre a realizzare un esponenziale sviluppo di fatturato.

Il sistema di frode ideato e realizzato dagli indagati è stato ricostruito dalla polizia giudiziaria grazie ad accertamenti documentali e bancari, oltre che all’esecuzione di specifiche attività tecniche, effettuati dai militari del Gruppo di Como, che hanno portato all'individuazione di più società cooperative di lavoro a struttura precaria in quanto tenute in vita dagli indagati per limitati periodi di tempo e sostanzialmente inadempienti sia agli obblighi civilistici che fiscali. Le società cartiere hanno avuto il compito di assumere la forza-lavoro, di fatto gestita da altre due società capogruppo - un consorzio e una società di capitali - che hanno costituito, invece, una struttura permanente nel tempo, risultando apparentemente in regola dal punto di vista fiscale, adempiendo all’attività direzionale ed amministrativa.

In base alll'impianto accusatorio, la frode è stata commessa tramite l’emissione, da parte delle cooperative e nei confronti delle società capogruppo, di fatture per prestazioni di servizi - assoggettate al regime dell’Iva con l’aliquota ordinaria del 22% - riferite ad operazioni soggettivamente e giuridicamente inesistenti, nelle quali venivano falsamente addebitati i costi del personale. Veniva così consentito alle società capogruppo l’abbattimento dell’ingente debito Iva scaturito dalla fatturazione delle prestazioni al consorzio, nonché un risparmio dei contributi previdenziali e assistenziali che il consorzio avrebbe dovuto sostenere nel caso avesse assunto i dipendenti delle varie cooperative.

Infatti, qualora le prestazioni fossero state rese direttamente dalle società capogruppo tramite la propria forza lavoro, queste avrebbero annoverato tra le componenti negative di reddito unicamente quelle relative al costo del personale dipendente assunto che, notoriamente, non genera un’Iva a credito. In tal modo, le consistenti somme di denaro trasferite dalle capogruppo alle cooperative, a pagamento delle false fatture, venivano utilizzate per il pagamento del personale e, in parte, prelevate dagli organizzatori della frode tramite prelievi per contanti, assegni o con bonifici bancari in favore di loro stessi, a pagamento di propri compensi o utilizzate per spese personali.

In tal modo, i promotori e gli organizzatori del meccanismo illecito hanno abusato dello schema societario cooperativo, non perseguendo alcuna finalità mutualistica ma sfruttando la normativa di favore prevista per tali soggetti al fine di effettuare operazioni commerciali con evidente scopo di lucro, a proprio vantaggio e non dei soci delle cooperative, relegati a sostanziali ruoli di meri lavoratori dipendenti.

Lo sfruttamento degli extracomunitari

Dalle informazioni riferite da parte dei lavoratori, in gran parte extracomunitari e che prestavano la propria attività nelle cooperative, è emerso che gli stessi non ne conoscevano il presidente, né risulta che questi abbiano mai partecipato alle assemblee. Di fatto, il personale veniva formalmente assunto dalle numerose cooperative che si sono succedute nel tempo ma, pur cambiando continuamente e formalmente datore di lavoro, gli assunti continuavano, di fatto, a lavorare nel medesimo luogo, per le stesse persone fisiche e con i medesimi referenti che risultavano essere sempre gli ideatori del sistema fraudolento, sebbene questi non fossero i legali rappresentanti delle cooperative.

L’utilizzo della struttura cooperativistica ha trovato quindi il suo scopo non tanto nella tassazione agevolata del reddito normativamente prevista per le cooperative a mutualità prevalente, ovvero nella determinazione agevolata dei contributi di cui le società hanno sistematicamente omesso il versamento, ma soprattutto nella flessibilità di gestione dei lavoratori. Il conseguente inadempimento degli obblighi fiscali e previdenziali delle diverse cooperative era quindi frutto di una consapevole scelta gestionale degli amministratori, attuata sin dall’inizio dell’attività societaria e spiegato dal fatto che le diverse società erano destinate a cessare l’attività dopo appena due anni.

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Trascorso il periodo di operatività, le cooperative venivano rese inattive e ne venivano costituite altre che operavano nel medesimo modo, con gli stessi clienti, nelle quali venivano trasferiti i soci e dipendenti, i quali, nella gran parte dei casi, non erano neanche a conoscenza di essere inquadrati come tali. Il ricorso sistematico a prestanomi, sui quali far ricadere le responsabilità penali e tributarie, ha consentito agli ideatori dell’ingente frode fiscale di occultare le loro responsabilità per i reiterati e gravi reati di frode fiscale, consumati avvalendosi di una rete di soggetti compiacenti riconducibili al nucleo familiare o comunque a persone di loro fiducia, che gli hanno consentito di operare nella gestione illecita delle cooperative sociali di lavoro per oltre sei anni.

Inoltre, le società capogruppo, avvalendosi della compiacenza di società terze, trasferivano le proprie esposizioni debitorie a queste ultime tramite la procedura dell’accollo del debito, compensando i debiti tributari con crediti non spettanti ed inesistenti per un ammontare complessivo di oltre 1 milione di euro.

Le accuse

Le 21 persone fisiche denunciate sono accusate di vari reati: sette indagati sono stati sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata, a vario titolo, all’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, all’omesso versamento di Iva e all’omessa dichiarazione, i quali costituivano e utilizzavano 17 società cooperative gestite, di fatto, dagli amministratori di due società capogruppo, con lo scopo di assicurarsi molteplici commesse nel settore dei servizi - pulizia e facchinaggio - da vari operatori economici presenti sul territorio lariano e nazionale.

Due indagati sono stati sottoposti alla misura custodiale in carcere per emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; quattro indagati sottoposti agli arresti domiciliari per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni  inesistenti, omessa dichiarazione ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; un indagato è stato sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per il reato relativo all'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nell’arco di un ristretto arco temporale; sette indagati non destinatari di provvedimenti cautelari personali, sono accusati dei reati di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e d'indebita compensazione.

Il Giudice per le indagini preliminari ha disposto (oltre alle misure cautelari personali) il sequestro preventivo di 7.725.048,14 euro con riferimento ai reati tributari di cui sopra, pari all’ammontare complessivo del profitto illecitamente maturato.

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