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Cronaca

Aperture domenicali, da palazzo Lombardia arriva il sì al referendum

Dopo Abruzzo, Umbria e Veneto, anche il consiglio regionale lombardo approva la proposta di referendum per limitare le aperture domenicali di centri commerciali e negozi. Se anche una quinta Regione aderisse, la proposta di referendum si potrà presentare allo Stato.

Regione Lombardia ha approvato la proposta di referendum per abrogare la legge che permette ai centri commerciali di restare aperti la domenica senza limitazioni: il provvedimento, varato nel 2011 dal Governo di Mario Monti, di fatto toglieva alle Regioni la possibilità di pianificare autonomamente le aperture degli esercizi commerciali.


Il sì della Lombardia al referendum arriva dopo quello di Abruzzo, Umbria e Veneto: se un’altra Regione si aggiungesse a queste, la proposta di referendum potrebbe essere sottoposta al giudizio della Corte di cassazione, come previsto dall’articolo 75 della Costituzione, che sancisce la possibilità di indire un referendum, se questo è proposto da almeno 5 Regioni.


A favore, oltre i gruppi di maggioranza, hanno votato anche i gruppi del Partito democratico e del Movimento 5 stelle, mentre si sono espressi contrariamente il gruppo di Patto civico e, a titolo personale, il Consigliere Giulio Gallera, in quota a Forza Italia.


“È necessario oggi riportare un po’ di equilibrio nel settore del commercio che in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, può vantare una illimitata libertà”, ha dichiarato il relatore del provvedimento, Angelo Ciocca (Ln).


Secondo Daniela Maroni della lista Maroni Presidente, consigliere segretario dell’ufficio di presidenza, “le  liberalizzazioni hanno avuto effetti negativi sul piccolo commercio e al tempo stesso finito per cancellare dei valori etici fondamentali come il rispetto delle feste e del giorno di riposo dei lavoratori” e Riccardo De Corato (FdI) ha sottolineato come le norme abbiano “provocato una vera e propria emorragia di chiusure, tanto è vero che i negozi di vicinato stanno sparendo”.


L’Assessore al Commercio  Mauro Parolini (Ncd) ha ricordato che “per realtà complesse e articolate come il commercio vanno  evitate soluzioni semplicistiche e rigide, ecco perché è fondamentale che le Regioni tornino ad occuparsene”.


La necessità che le competenze in questo settore tornino in capo alle Regioni e alle autonomie locali è stato sottolineato anche da Enrico Brambilla, capogruppo del Partito democratico. “Noi – ha detto – siamo convinti che alla fine il referendum non si farà, perché mancano i tempi necessari per trovare le adesioni da parte degli altri Consigli regionali. Tuttavia prendiamo questo provvedimento come se fosse una mozione, un atto di indirizzo un pronunciamento – aspetto, questo, sollevato dal Pd negli interventi di Onorio Rosati – che aiuti ad accelerare la revisione delle norme”. 


Per Patto Civico, come è chiaro dalle parole di Michele Busi e Roberto Bruni, “Iil problema deve essere affrontato nella sua complessità ma senza scorciatoie. La strada per fare le modifiche c’è: se le forze politiche sono tutte d’accordo, si facciano le modifiche normative in parlamento, il referendum è solo un percorso tortuoso e un’iniziativa sbagliata”.


D’accordo sul no a titolo personale anche il consigliere Giulio Gallera (FI) secondo cui “in un momento di crisi è assurdo andare a ridurre le aperture festive e domenicali dei centri commerciali, diminuendo così l’offerta di posti di lavoro”.


Per Stefano Buffagni, il Movimento 5 Stelle è “d’accordo nel mettere in discussione le liberalizzazioni. Si guarda troppo alle metropoli e poco ai borghi: siamo per la  difesa dei piccoli negozi, che nei piccoli centri rappresentano una presenza vitale”.

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