Armi, conflitti, terrorismo: un'altra difesa è possibile?
Dopo gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre la paura, il terrore e lo smarrimento si sono diffusi in tutta l'Europa: una sensazione di diffusa vulnerabilità data dal fatto che a essere attaccati sono stati luoghi di vita quotidiana come un ristorante, un teatro, uno stadio.
Per comprendere la difficilissima situazione politica in cui ci troviamo a livello internazionale, però, è necessario approfondire e conoscere il contesto in cui si è sviluppata, comprese le responsabilità dei Paesi che commerciano armi. Tra questi l'Italia.
Sarà questo il tema dell'incontro organizzato da Qui Lecco Libera per mercoledì 13 gennaio, dal titolo “Armi, conflitti, terrorismo”: a partire dlle 21 la sala Ticozzi di via Ongania ospiterà Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo e autore di titoli come "F-35. L'aereo più pazzo del mondo" (Round Robin Editrice, 2013) e “Armi, un affare di Stato” (Chiarelettere, 2012).
«È un tema che ci riguarda da vicino - spiegano gli organizzatori - nell’ultimo quinquennio, infatti, le autorizzazioni italiane all’export a Paesi non appartenenti né all'Ue né alla Nato sono salite al 62,9%, e tra i primi 20 destinatari sono ben 7 le cosiddette “democrazie incomplete” secondo la classifica del Democracy Index dell’Economist. Cinque sono regimi autoritari, due sono ibridi. In testa Algeria e Arabia Saudita, ma tra gli acquirenti troviamo anche Kuwait, Emirati Arabi, Nigeria, India, Pakistan».
«Ogni anno vendiamo armi per circa 3 miliardi di euro, e negli ultimi 25 anni il totale ha superato i 53 miliardi di euro - spiegano ancora dall'associazione - in palese violazione della legge 185/90, che nei suoi principi generali vieta chiaramente l’export di armi verso Paesi in conflitto e che violano i diritti dell’uomo. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2015, dall'aeroporto civile di Cagliari Elmas più d'un cargo carico di bombe MK-80, prodotte da RWM Italia di Domusnovas in Sardegna, è stato spedito verso l'Arabia Saudita. Il governo italiano non ha nemmeno fatto passi indietro nei finanziamenti del programma relativo agli armamenti: anche la legge di Stabilità 2016 ha confermato ufficialmente lo stanziamento di 13 miliardi di euro per l’acquisto dei 90 cacciabombardieri F-35».
«Secondo i dati forniti dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), la spesa militare mondiale nel 2014 è stata di 1.776 miliardi di dollari, una cifra che rappresenta il 2,3% del Pil globale - proseguono gli attivisti - I primi 15 Paesi per investimenti militari rappresentano tutti insieme ben più della metà della spesa complessiva con 1.427 miliardi di dollari. L'Italia si colloca al 12esimo posto con un investimento di 30,9 miliardi di dollari. Appare evidente come la rincorsa alla produzione e alla vendita di armi degli ultimi anni non abbia prodotto in alcun modo i risultati annunciati. È davvero questo il modo con cui vogliamo contribuire alla risoluzione dei conflitti nel mondo? Un’altra “difesa” è possibile?»