Giovedì 12 giugno, Palazzo delle Paure: "Una storia di Lecco" ultimo lavoro di Daccò
La storia che mancava. Lecco, la città del Manzoni, la storia della città industriale di “quel ramo del Lago di Como” non era ancora stata raccontata dalle origini, ovvero dall’età del Bronzo, fino ai nostri giorni.
Lo storico Gian Luigi Daccò colma oggi questo vuoto con il volume Una storia di Lecco. Dall’Età del Bronzo al mondo globale, edito da Cinquesensi, che sarà presentato alla città giovedì 12 giugno alle 18, in un incontro aperto al pubblico, nella splendida sede di Palazzo delle Paure.
Dopo il saluto delle autorità, ne discuteranno insieme all’autore, Alberto Garlandini, presidente dell’International Council of Museums e Adele Buratti Mazzoti, membro del direttivo della Società storica lombarda.
“Quando si parlava della storia del contado milanese – spiega Gian Luigi Daccò – lo si faceva soltanto per valutarne i riflessi sulla vita politica ed istituzionale della metropoli, vizio comune della ricerca italiana. A queste impostazioni tradizionali che da sempre hanno trascurato il ruolo dei centri più importanti del contado milanese tra cui Lecco, va aggiunta la oggettiva mancanza di atti pubblici, dovuta alla dispersione degli archivi, comunali ed ecclesiastici. La scarsità della documentazione non consente un’analisi delle vicende di Lecco, se non in via indiziaria. L’opera è scandita in testi di carattere locale e altri di inquadramento più generale. Così, esaminando larga parte di quanto è oggi disponibile, cercherò di dire qualcosa, non basandomi su saggi di impostazione generale che non esistono tuttora, ma lavorando prevalentemente su fonti bibliografiche generali ed archivistiche attendibili”.
Il borgo di Lecco
“Lecco dalla sconfitta dell’ultimo conte (960) fino alle riforme austriache, aveva sempre fatto parte del vastissimo contado di Milano. Entrò nella provincia di Como nel 1786 e poi, stabilmente, insieme al Varesotto, nel 1816. E non è certo un caso che sia il Varesotto nel 1927 che il Lecchese nel 1992 si siano staccati da Como, città che costituì sempre per i due territori soltanto la sede amministrativa; tutti gli altri rapporti economici, culturali e religiosi continuarono a gravitare sempre su Milano.
Pietro Verri nella sua Storia di Milano del 1783, parlando del contado milanese scrive: “... si distinguono Monza, Varese, Vimercato, Triviglio, Busto, Gallarate, Lecco, da noi chiamati Borghi, e che in altri Regni verrebbero chiamati Città”.
Ulteriori fili rossi uniscono i vari periodi della storia di Lecco, delle costanti che ritroviamo perdurate per secoli, come le comunicazioni tra il Milanese e il Nord attraverso i passi alpini e quindi attraverso Lecco e l’importanza della città come centro produttivo e manifatturiero, in un contesto generale prevalentemente agricolo.
Infine la caratteristica più peculiare cioè la singolare forma urbis policentrica di Lecco che ritroviamo attestata con certezza già dai primi documenti del X secolo.
Altra costante che influì negativamente sullo sviluppo della città fu il suo fondamentale ruolo strategico che si mantenne dall’Alto Medioevo fino al 1782 divenendo asfissiante dopo la Pace di Lodi (1454), quando Lecco assunse il ruolo di piazzaforte di confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, restando tale fino alla fine del Settecento.
Miti e luoghi comuni
La topografia dei “luoghi manzoniani” tiene, per Lecco, il posto occupato da disfide, assedi, palii più o meno immaginari che, in tutto il resto d’Italia, consolidano il senso di appartenenza cittadina con l’invenzione di tradizioni ad hoc, come in Brianza i miti relativi alla regina Teodolinda, quelli del Carroccio e della Compagnia della Morte a Milano, dei Plinii a Como.
Manzoni diventa il nume tutelare di Lecco: quasi tutti i comunelli lecchesi dell’Ottocento si dotano di vie dedicate a Renzo e Lucia, all’Azzeccagarbugli, a Don Rodrigo e perfino a Tonio e Gervaso.
Questa “tradizione inventata” non veniva affatto spesa sul piano turistico, ma solo su quello interno, come elemento di identità e orgoglio municipalistico.
Accanto a questo mito, in sé positivo, come all’altro di Lecco “Manchester d’Italia”, alla fine dell’Ottocento si sviluppa invece, consistente, persistente, tenace, uno dei più perniciosi luoghi comuni su Lecco che ha pesantemente determinato la storia urbanistica e culturale della città.
Si tratta di un concetto tanto diffuso, ricorrente e famigliare da essere diventato, per molti lecchesi, addirittura ovvio. “Prima di dilungarsi sulle cose notabili le guide turistiche (dei primi anni del Novecento) premettono immancabilmente l’avviso, variamente formulato ma dello stesso tenore, che a Lecco non esistono monumenti.
Gli estensori offrono una superficiale lettura [...] secondo la tesi preconcetta che Lecco è un casuale agglomerato di case e casupole tra un reticolo di vie strette e irregolari”. Sembrava ormai assodato e incontrovertibile che Lecco, con urbazione industriale senza passato, fosse una città proiettata verso un radioso progresso tecnologico ed economico.
Questo disinteresse per il passato non era poi raro nel primo Novecento e non certo identificabile solo con Lecco.
Non si trattava neppure della consueta contrapposizione tra radioso progresso e oscuro Medioevo, sembrava semplicemente che a Lecco, per la maggior parte dei suoi abitanti, un passato non fosse mai esistito o fosse tanto insignificante da non avere importanza.
Questo libro tenta di dimostrare il contrario.