Rassegna teatrale "Teatro d'autore" - "Re Lear"
Re Lear
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Michele Placido, Marica Gungui
con Michele Placido
e con Gigi Angelillo, Francesco Bonomo, Federica Vincenti, Francesco Biscione, Giulio Forges Davanzati, Peppe Bisogno, Brenno Placido, Alessandro Parise, Marta Nuti, Maria Chiara Augenti, Mauro Racanati, Bernardo Bruno, Gerardo D’Angelo
regia Michele Placido e Francesco Manetti
scene Carmelo Giammello
musiche originali Luca D'Alberto
costumi Daniele Gelsi
luci Giuseppe Filipponio
Goldenart production in collaborazione con Ghione produzioni e con Estate Teatrale Veronese
Tragedia del potere e del dovere tinta di grottesco; dramma dell’amore filiale e del tradimento; affresco di un mondo piombato nel caos, sui bordi di una nuova era. Le caratteristiche dell’universalità e le stigmate della modernità Re Lear le ha proprio tutte. Tanto che il grande critico Harold Bloom lo colloca, insieme ad Amleto, a formare una sorta di “scrittura” laica o di mitologia del contemporaneo. E cosi appare quasi naturale che il Lear di Michele Placido, in un mondo in preda al disordine e alla rovina, si aggiri in una desolata periferia industriale, dalle cui macerie fanno capolino le icone spezzate di regnanti post-moderni, da Kennedy a Lenin, dalla regina Elisabetta a Bin Laden. All’inizio del dramma, Lear rinuncia al suo ruolo, spogliandosi della corona per tornare uomo tra gli uomini, rifarsi bambino e in pace «gattonare verso la morte». Ma come un bambino, con un ultimo capriccio da re prima di passare le consegne, pretende che le figlie gli dimostrino a parole il loro amore: la schietta Cordelia, incapace, al contrario delle sorelle, di ipocrisia e adulazione, viene ripudiata per questo. «E' questo equivoco – scrivono Placido è il co-regista Francesco Manetti – questo confondere l’amore con le parole, che farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con lui è il mondo intero che va fuor di sesto, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti a lottare per la propria sopravvivenza».