rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024
Notizie Calolziocorte

Operatori e ospiti della comunità "Il Gabbiano" firmano 30.000 mascherine del riscatto

Importante iniziativa di solidarietà e inclusione promossa dalla onlus con sedi a Calolzio e a Colico, insieme al Comune di Piateda

La comunità Il Gabbiano onlus e il Comune di Piateda insieme per sostenere solidarietà, inclusione e sviluppo locale. La onlus - con sedi anche a Colico, Tirano e Calolziocorte - e l'Amministrazione del centro valtellinese hanno promosso la realizzazione delle cosiddette "mascherine del riscatto". Alcuni ospiti del centro terapeutico-riabilitativo hanno infatti lavorato in prima persona alla produzione di 30.000 dispositivi di protezione individuale, e lo hanno fatto collaborando anche con cittadini e volontari del paese. 5.000 di queste mascherine sono state date alla popolazione, le altre distribuite presso le varie sedi della comunità.

Per il loro lavoro si sono serviti di un macchinario automatico sistemato nella sala polifunzionale di Piateda, un impianto del quale nei giorni dell'emergenza covid si era parlato anche a livello nazionale. Ecco come uno degli operatori della comunità, Paolo Casu, ha illustrato lo svolgimento, lo spirito e i risultati dell'iniziativa. A seguire pubblichiamo anche l'interessante testimonianza di due ragazzi coinvolti.

In piena emergenza Covid-19, come Associazione, abbiamo iniziato a pensare come proteggerci da questo maledetto virus. Come tutti noi, in una non consueta modalità, abbiamo iniziato a collegarci sui social per ascoltare il Premier Conte mentre illustrava il nuovo Decreto con l’ennesima autocertificazione per poter circolare, il raggio d’azione in cui poter portare fuori il nostro cane, il tipo di mascherina da mettere, codici strani, FPP1/2/3, chirurgiche, foulard, sciarpe; in Lombardia una cosa, nel resto d’Italia un’altra. Insomma, come tutti abbiamo capito poco ma ci siamo adeguati.

Certo, il distanziamento sociale nelle nostre comunità terapeutiche, dove la relazione si attua principalmente in prossimità delle persone, dove anche il contatto fisico è necessario, fare i colloqui con la mascherina, lavorare insieme con la mascherina è stato difficile e lo è tutt’ora. In un primo momento, abbiamo avuto a disposizione alcune mascherine chirurgiche fornite dalle ATS, altre mascherine sono state cucite dalle nostre mamme, altre le abbiamo prodotte con delle lenzuola di TNT, tessuto non tessuto, simil/pannolini di carta, con risultati scadenti dal punto di vista estetico ma comunque utili per proteggerci.

In quei giorni, sui social e sul TG nazionale faceva largo la notizia che in un piccolo paese in Valtellina, Piateda, era stata fabbricata una macchina automatica per la produzione di mascherine grazie alla partecipazione e la lungimiranza di molti volontari, tecnici e amministratori. Mascherine particolari, prodotte con tre strati di TNT, con elastici intercambiabili, prodotte per essere donate alla cittadinanza.

All’inizio di Maggio di quest’anno, siamo entrati in contatto con il sindaco di Piateda Simone Marchesini con il quale ci siamo dati appuntamento nella sala polifunzionale del Comune, dove è stata collocata la macchina e dove vengono prodotte le mascherine. Da questo incontro è nata una bella collaborazione: il Comune ci ha fatto dono di un bel numero di mascherine e soprattutto ci ha offerto la possibilità di partecipare al progetto. Alcuni di noi, operatori e ospiti del Gabbiano, siamo stati formati all’utilizzo della macchina automatica grazie alle competenze e alla disponibilità di alcuni volontari. Insieme, abbiamo iniziato a produrre 30.000 mascherine, una parte delle quali sono state distribuite ai cittadini, un’altra parte agli ospiti delle nostre strutture comunitarie.

Non è scontato quello che è successo. Insieme, abbiamo creduto nella possibilità di poterci incontrare nei luoghi in cui si amministra la cosa pubblica, nei luoghi di tutti: “carcerati”, “drogati”, operatori, amministratori, volontari, cittadini. Tutti abbiamo raccolto la sfida di poterci conoscere reciprocamente per fare qualcosa insieme, a vantaggio della collettività di cui noi stessi facciamo parte. In comunità abbiamo parlato con i nostri ospiti e programmato insieme chi dovesse partecipare. Dal 22 giugno ogni mattina ore 6.30 tutti pronti, tre ospiti e un operatore. Direzione Piateda. Primo giorno. Alle 8.00 abbiamo iniziato questo progetto con una prima infarinatura sull’utilizzo della macchina: i volontari hanno spiegato il suo funzionamento e gli ospiti hanno seguito attentamente le istruzioni.

Nei giorni successivi, per circa dieci giorni. Dalle 8.00 alle 17.00 con solo una pausa di trenta minuti per il pranzo e qualche pausa sigaretta, con i ritmi scanditi dai tempi della produzione: uno di noi prende le mascherine in uscita dalla macchina, un altro le imbusta insieme agli elastici, un altro ancora conta i pezzi e li inscatola. In questi giorni, ci sono alcuni momenti in cui non possiamo distrarci dal lavoro, quasi non possiamo alzare la testa, e altri momenti in cui possiamo confrontarci e raccontarci. Sono dialoghi senza pregiudizio, grazie a cui le virgolette e le etichette che ci definivano all’inizio piano piano sono scomparse e al loro posto sono comparsi i nostri nomi: Marco, Mattia, Davide, Tommaso, Angelo, Gaetano, Paolo.

Chiamarsi per nome, parlare tra noi crea una bella armonia tra ospiti delle nostre comunità, operatori, volontari, cittadini … Quello che abbiamo visto bene da subito è la voglia dei nostri ospiti di farsi vedere capaci, responsabili, quasi fosse il loro lavoro da sempre. Quello che potrebbe sembrare una normalità per chiunque, non lo è per chi come i nostri ospiti sta attraversando un periodo della loro vita che non è “normale” agli occhi dei più. I nostri ospiti sono impegnati a riappropriarsi delle responsabilità e dei ritmi del lavoro; alcuni di loro ad appropriarsene per la prima volta.

Questo percorso di riavvicinamento al lavoro è avviato tramite l’ergoterapia all’interno delle comunità e poi sviluppato nelle esperienze lavorative fuori, sul territorio. Uno degli obiettivi fondamentali delle nostre comunità è quello del reinserimento sociale e lavorativo dei nostri ospiti. La percentuale di percorsi di reinserimento conclusi positivamente è buona. Diventa cruciale la possibilità di potersi mettere alla prova fuori dalle mura protette della comunità. Perché ciò avvenga, sono fondamentali questi incontri, come quello con il comune di Piateda: incontrare sulla nostra strada persone, amministrazioni, parrocchie, titolari di aziende disposte a mettersi in gioco, sfidando il pregiudizio e credendo nella possibilità di fare insieme per il bene comune. In questi incontri, il nostro ruolo di operatori sociali diventa quello di sostenere le parti (ospiti, comunità, cittadinanza), incoraggiarle a superare gli ostacoli e cogliere le opportunità – anche economiche - che questi progetti portano con sé.

L’articolo 27 della Costituzione italiana dice che le pene devono “tendere alla rieducazione del condannato”. Questo precetto costituzionale si concretizza anche attraverso percorsi di inclusione sociale e lavorativa per gli ex-detenuti. Percorsi d’inclusione che sono fondamentali non solo per chi proviene dal carcere, ma anche per chi è tossicodipendente, per chi vive sofferenze profonde, per chi si è trovato ai margini della società per lungo tempo. Il nostro impegno quotidiano da educatori e operatori di comunità va proprio in questa direzione, quella dell’inclusione. Ed è molto più bello sostenere questo impegno quotidiano insieme alle comunità del territorio e ai loro cittadini. Vorrei dar voce ai nostri ospiti che hanno voluto contribuire a questo scritto con delle loro riflessioni e considerazioni.

Paolo Casu, Associazione comunità Il Gabbiano onlus

La testimonianza di due ragazzi: «Questo progetto ci ha dato la possibilità di dimostrare la nostra voglia di riscatto»

Grazie al sindaco di Piateda e ai volontari, i quali sono parte integrante di questo progetto e ci hanno dato la possibilità di poter produrre per l’Associazione Comunità il Gabbiano migliaia di mascherine, le quali verranno suddivise e messe a disposizione per le varie sedi dell'Associazione.

Questo progetto ci ha dato la possibilità di dimostrare la nostra voglia di riscatto, nonostante le nostre scelte di vita sbagliate, e di essere più solidali con il mondo che oggi ci circonda. Ci stiamo mettendo il massimo impegno e la massima serietà, in primis per noi stessi e in secundis per far sì che i nostri operatori possano continuare a credere in noi e nel nostro progetto riabilitativo-lavorativo, aiutandoci a tirar fuori le parti migliori di noi, auspicando a noi ospiti un futuro migliore. Altro importante e fondamentale ringraziamento va ai volontari e progettisti del macchinario di Piateda che si sono resi disponibili a insegnarci la procedura e il funzionamento dello stesso, mettendosi a disposizione durante tutte le giornate di produzione. Ci auguriamo che tutto ciò sia un trampolino per poter continuare a dimostrare la voglia e capacità di riscattare le nostre vite.

Marco

È stata una bella esperienza lavorare insieme a dei volontari in un momento difficile per tutti. Già da dentro al carcere sentivo il bisogno di dovermi in qualche modo riscattare con la società, fare qualcosa di utile per tutti, in modo da cambiare il pregiudizio della gente verso i detenuti... C'è stata complicità tra noi detenuti ed i volontari (per lo più pensionati) che forse si aspettavano delle persone diverse, inizialmente sembravano titubanti, ci osservavano, ma con il passare dei giorni si sono aperti iniziando a parlare anche della loro vita, c'è stato uno scambio di opinioni e confidenze, ecco...

Finito il lavoro stavo bene con me stesso perché sapevo di aver fatto qualcosa di buono e di certo non mi tirerò indietro se ci dovesse essere ancora bisogno di me. Per me fare volontariato vuol dire rendermi utile, dare una mano a persone o associazioni che ne hanno bisogno, come fossero disabili, anziani, bambini, sono sempre stato a favore di queste cose ed è una cosa che mi fa stare bene perché so di fare del bene. Alzarmi presto per me non è mai stato un problema, da quando lavoravo ed ero ancora libero, fino a questa esperienza, dove c'era bisogno di me, non mi sono mai tirato indietro, non mi fa paura il lavoro insomma, che sia lavoro retribuito o semplice volontariato, per me è lavoro, è dovere! Ci sono stati momenti di grasse risate con i volontari, eravamo una bella squadra, l'operatore, Paolo, non ci ha mollato un attimo nonostante le sue videoconferenze ed i suoi impegni all'infuori di quelle mascherine e quindi penso che non potesse proprio andare meglio!

Mattia

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Operatori e ospiti della comunità "Il Gabbiano" firmano 30.000 mascherine del riscatto

LeccoToday è in caricamento