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Formigoni: l'ex Governatore sconterà ai domiciliari la condanna per il caso Maugeri-San Raffaele

Il Celeste, condannato a cinque anni e due mesi, da tempo provava a ottenere la misura della detenzione domiciliare: sarà un amico medico a ospitarlo

Roberto Formigoni, ex presidente lecchese della Regione Lombardia, andrà agli arresti domiciliari e dunque lascerà il carcere di Bollate, dove lui stesso si era costituito il 22 febbraio in seguito alla condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi di reclusione per corruzione nel caso Maugeri-San Raffaele. Sconterà i domiciliari a casa di un medico amico, la cui offerta è stata valutata positivamente dal tribunale di Sorveglianza di Milano che ha acconsentito alla misura alternativa.

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Il Tribunale di Sorveglianza ha accolto la richiesta dei legali di Formigoni. Non era la prima volta che essi tentavano la richiesta dei domiciliari, finora senza successo, ma, ora, c'era l'assenso anche della procura generale. La norma generale dell'ordinamento penale prevede che, superati i 70 anni, salvo in casi eccezionali si debbano scontare le condanne ai domiciliari e non in carcere. Tuttavia la legge cosiddetta "spazzacorrotti" ha incluso la corruzione in quei casi eccezionali e pertanto Formigoni, 72enne, è stato trattenuto in carcere.

I suoi legali hanno cercato invano di fare valere, in questi cinque mesi, il principio di irretroattività: poiché quando Formigoni ha commesso i reati di cui è accusato la legge "spazzacorrotti" non era in vigore, l'ex governatore non avrebbe dovuto scontare la condanna in carcere. Su questo punto, ancora una volta, la procura generale si è espressa contro: l'irretroattività vale per i reati, appunto, non per il modo in cui si espia la pena.

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"Vincente" dovrebbe essere stata l'altra argomentazione degli avvocati difensori (su cui concordava la procura generale e quindi, presumibilmente, anche i giudici di Sorveglianza): la considerazione che Formigoni, che pure vorrebbe collaborare con i magistrati, non può farlo perché non aggiungerebbe elementi utili alla giustizia. Di solito è una condizione nella quale si accede comunque ai benefici di pena. E Formigoni, per la prima volta, all'udienza di Sorveglianza della scorsa settimana ha ammesso il «disvalore» dei suoi comportamenti.

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No alla collaborazione. In carcere anche richieste di aiuto

Formigoni ha mantenuto un "basso profilo" con gli altri detenuti di Bollate (Milano) che riconoscendo la sua immagine di uomo politico, «gli hanno chiesto aiuto». E' uno dei particolari che emerge nel dispositivo dei giudici della Sorveglianza che hanno concesso la misura alternativa. Formigoni ha avuto buoni rapporti con tutti all'interno del carcere dove ha svolto attività di volontariato e dove ha iniziato un percorso di «elaborazione critica» di quanto compiuto. Il Celeste non ha mai collaborato, ma questa collaborazione, oggi impossibile, non è un ostacolo per non concedergli i domiciliari, secondo quanto sostengono i giudici del tribunale di Sorveglianza di Milano. Nel dispositivo, sulla richiesta avanzata dai difensori di lasciare il carcere di Bollate, si sottolinea come il presupposto dello "spazzacorrotti" sia la collaborazione, ma in questo caso essendo la «collaborazione impossibile», non si debba entrare nel merito della recente norma, quindi diventa irrilevante la questione di retroattività. A pesare sulla concessione della misura alternativa è invece il comportamento tenuto da Formigoni dietro le sbarre con un «basso profilo» e una rilettura della vicenda «comprendendone gli sbagli, i comportamenti superficiali come le vacanze in barca. Il carcere ha sollecitato in lui un notevole sforzo di adattamento, consolidato da elementi tra cui la fede». 

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