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Il Parco Minerario dei Piani Resinelli: una storia fatta di sfide quotidiane tra l'uomo e la roccia

Il Parco Minerario dei Piani Resinelli, un luogo dove la storia non si scopre solo in chiese, antiche dimore o castelli, ma anche nelle viscere della Terra

Ci sono luoghi dove la storia non si scopre solo in chiese, antiche dimore o castelli, ma anche nelle viscere della Terra, e uno di questi luoghi è indubbiamente il Parco Minerario di Piani Resinelli in Valsassina sulle prime montagne nei pressi di Lecco, alle pendici della Grignetta, tra i 1200 e i 1300 metri d’altitudine, uno dei più antichi siti minerari oggi visitabili. Dalla loro posizione si può godere di un’incomparabile vista che spazia dalle Alpi Retiche fino al Monte Rosa, dominando la pianura sottostante, il lago ramo di Lecco e i bacini dell'Alta Brianza.

I Piani prendono il nome dalla famiglia Resinelli, una volta proprietari dei terreni, che nel 1830 vi costruì il primo rifugio per la caccia. Nel 1800, ogni angolo di queste montagne veniva sfruttato da schiere di boscaioli, generalmente raggruppati in grosse squadre, che tagliavano boschi di faggio, carpino nero e castagno anche nelle zone più impervie e lontane dai centri abitati. Alcuni di loro si facevano calare con le corde sulle pareti rocciose, per raggiungere le piante negli speroni di roccia più impervi. Il bosco garantiva sia il legname per costruire le abitazioni, che il materiale da ardere per il riscaldamento e cucinare, o per lavorare il latte. I tronchi venivano fatti scendere lungo i canali o i pendii bagnati o gelati a colpi di “zappino”, mentre le fascine fatte con le ramaglie minute venivano trasportate fino nelle città e utilizzate nei forni per cuocere il pane.

Un tempo i piani erano utilizzati principalmente come alpeggio, ma estremamente importante nei secoli fu l’attività estrattiva nelle numerose miniere che si estendevano per chilometri all’interno del massiccio e che rimasero in uso fino alla metà del Novecento. Il luogo ha infatti una secolare tradizione mineraria che oggi è stata in parte recuperata per rievocare un passato che non è fatto unicamente di eventi politici, storici o militari, ma anche di un duro e anonimo lavoro che sosteneva lo sviluppo e la ricchezza di un territorio che è stato crocevia della grande storia.

Si tratta di miniere molto antiche, di origine presumibilmente rinascimentale. Il primo documento ufficiale che le cita riporta come anno il 1637. Furono oggetto di estrazione continua da allora fino al mezzo Novecento, quando nel 1958 si è deciso di smantellarle per motivi economici.

Qui si estraeva la galena che, dopo la fusione e la cottura, diventava piombo. Era la materia prima con cui il Ducato di Milano forgiò per secoli le proprie armi e, fino all'introduzione della polvere da sparo nel ciclo estrattivo, veniva ricavato con un massacrante lavoro manuale che scavava, centimetro dopo centimetro, la roccia della montagna alla ricerca del minerale. Lo ricordava anche Leonardo Da Vinci che, lungo il suo periodo da ospite del Ducato di Milano, visitò queste zone e le descrisse come ricche di "vene di ferro e cose fantastiche” nelle pagine di quello che oggi è chiamato il Codice Atlantico.

I minatori, fino alla fine del XVIII secolo, venivano pagati a cottimo. La loro paga era il materiale estratto che poi avevano il compito di rivendere o barattare. Le attrezzature erano a loro carico e i condotti erano pericolanti, i crolli erano il pericolo più frequente. Erano lavoratori stagionali che d'inverno, quando le temperature esterne ghiacciavano l'acqua e asciugavano i condotti, facevano della miniera la loro casa.

Con l’aumentare del caldo esterno, le infiltrazioni rendevano molti passaggi inagibili. Tra l’altro la temperatura costante, attorno ai 10° centigradi, rendeva le miniere più calde nella stagione invernale rispetto all’esterno, dove il termometro scendeva ben al di sotto dello zero. Nel corso dei secoli ovviamente le condizioni di lavoro sono migliorate, le tecniche si sono perfezionate, ma il lavoro del minatore è sempre stato una sfida quotidiana tra l'uomo e la roccia.

Nel 1936 venne costruita la strada carrabile che fu determinante per l’ulteriore sviluppo turistico dell’area e che rimase a pedaggio fino al 1980: negli anni Cinquanta, nel momento di picco, sorsero infine alcuni impianti sciistici, progressivamente abbandonati trent’anni dopo. Dal 2002 sono state rivalutate in chiave turistica, grazie ad un’importante opera di ristrutturazione e messa in sicurezza. Oggi le miniere visitabili sono tre:

  1. la prima è la Miniera Anna, la più antica e anche quella più semplice da percorrere. Nella miniera Anna si estraeva principalmente la Galena Argentifera, un minerale (solfuro di piombo) che contiene percentuali sensibili di argento, ecco il motivo del nome
  2. la seconda miniera è Sottocavallo disposta su sette livelli con pozzo centrale che permette la vista dei sottolivelli. Nella miniera Sottocavallo si estraeva Blenda o Sfalerite: un solfuro di zinco
  3. la terza, quella che era la miniera Silvia, viene ora utilizzata come sala per concerti in un’atmosfera affascinante e unica nel suo genere.

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