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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cucina

Tra storia e sapori: “L’arte bianca"

Quando il pane fece la sua prima comparsa sulle tavole dei nostri nonni

Per tutto l'Ottocento, così come agli inizi del secolo scorso, il pane ricavato dalla farina di frumento (che in seguito sarebbe stato sempre presente sulle nostre tavole e che avrebbe addirittura sostituito la polenta) era abbastanza raro presso la gente comune in quanto prevalentemente consumato nelle famiglie dove maggiori erano le disponibilità economiche. Infatti, il pane presso le tavole più povere faceva la sua comparsa solo in particolari occasioni o durante i giorni di festa. Sulle tavole dei nostri nonni, infatti, la polenta la faceva ancora da padrona.

Nei primi decenni del Novecento però la lavorazione del frumento conobbe un certo sviluppo e di conseguenza il consumo del pane si insinuò nelle abitudini alimentari dei nostri nonni. Si trattò di un passaggio graduale: dal "pangiallo", diffuso soprattutto nell'area brianzola e confezionato prevalentemente con farina gialla ricavata dal granturco (e dunque simile alla polenta), si passò a miscelare la farina gialla con la farina di segale addizionate di una piccola quantità di pasta acida che fungeva da lievito; si lasciava quindi crescere l'impasto in un recipiente prima di introdurlo nel forno a legna la cui imboccatura, durante la cottura, veniva sigillata per impedire perdite di calore.

Cottura del pane in un tipico forno a legna

Per la farina bianca si seguiva una lavorazione particolare, del tutto diversa dalla lavorazione cui era sottoposto il granoturco per ottenere la farina gialla. Il grano raccolto era battuto dalle donne con il bastone per liberare i chicchi dal loro involucro, dagli steli e dalle spighe. Queste ultime venivano insaccate e poi messe al sicuro nell'aia in attesa di essere portate al mulino per essere macinate. La paglia che se ne ricavava era usata per fare "strame", ovvero il letto per gli animali. 

Lavorazione del Grano

Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso, il frumento era portato ai mulini ancora attivi per essere macinato: la farina bianca che se ne ricavava era presto accaparrata dai "prestinai" della zona che l'acquistavano per il loro pane. Fra i tanti mulini piccoli o di media grandezza presenti sul nostro territorio, quello in Valmadrera, già operante nel 1908, è da considerarsi forse il più “gettonato” dell’epoca. Si tratta di un mulino di proporzioni rispettabili, a quel tempo proprietà dell'ordine religioso dei Fatebenefratelli, che venne in seguito dato in gestione alla famiglia Valsecchi. La produzione di farina bianca continuò a pieno ritmo sino al 1965, anno in cui il titolare del mulino venne a mancare.

II Mugnaio

I lavoratori impiegati presso i panettieri e dediti durante le ore notturne alla lavorazione e lievitazione della farina appartenevano a quella categoria artigianale che vantava il nome di "arte bianca". Fornai, panettieri e garzoni si davano da fare affinché ogni giorno pane fresco fosse disponibile nei cesti delle panetterie. 

Il garzone

Di quei giorni difficili i nostri nonni ci hanno tramandato un rispetto quasi sacrale per il pane. A noi oggi rimangono solo polverose mura che ospitano macchinari arrugginiti che non macineranno mai più, insieme al ricordo di vecchi operai ancora impolverati di farina bianca. 

Ricordi che raccontano non solo di trascorse abitudini alimentari ma soprattutto la storia che sta dietro i sapori più autentici, che tutt’oggi stanno alla base della nostra alimentazione quotidiana.

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