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Così è rinato il rifugio Pialleral

La slavina di 38 anni fa, l'impegno della famiglia Pensa, la visita di Messner. L'attuale gestore: "Bisogna riscoprire la lentezza e l'umanità dell'andare in montagna"

Il 31 gennaio 1986, una slavina partita dalla cima della Grigna settentrionale demoliva letteralmente il rifugio Pialleral, posto a metà strada tra l'abitato di Pasturo e la Brioschi ai 2.410 metri, punto di ritrovo degli alpinisti ai 1.400 di altitudine. Gestito dai coniugi Antonietta e Innocente Pensa, il rifugio apparteneva al Cai Società Escursionisti Milanesi.

Oggi la nuova costruzione a carattere privato, eretto in una zona tutelata dal pericolo cadute masse di neve, continua la sua storia montana grazie al lavoro del figlio Dario coadiuvato da persone che come lui amano la vita alle altitudini. Dal gestore, all'epoca dei fatti, il racconto di quegli anni.

I tuoi ricordi di quel momento?

"In quei giorni salivo per aprire. A seguito di quattro giorni di intense nevicate, la preoccupazione era forte. A un tratto ho incominciato a rintracciare i cuscini del rifugio lì nelle vicinanze e poi ho scoperto che tutto era stato demolito".

Tu sei nella gestione della nuova struttura. Che caratteristiche deve avere un buon rifugista?

"Un buon rifugista deve sempre essere pronto a valutare bene la preparazione dei suoi clienti che vanno verso la vetta. Dare sempre dei buoni consigli essere disponibile alle nuove richieste degli ultimi tempi e niente altro".

Un aneddoto o un ricordo che ti porti sempre di questi anni di lavoro?

"Mi viene in mente negli anni ultimi anni la visita di Messner che ha fatto la salita al Grignone e poi è sceso a pranzo da noi. Una persona che si è interessata tantissimo, ha voluto sapere il perchè del nome Antonietta a cui il Rifugio è intitolato. Inoltre la sua storia e le dimensioni della valanga. Per me quella gradita visita è uno dei ricordi più belli".

Cosa vedi nel futuro di chi si approccia alla montagna nelle sue svariate forme?

"Vedo sempre più una rincorsa al battere dei record. Sempre all'andare più veloce, più forte di altri. C'è una sorta di disumanizzazione del salire in montagna. Occorre invece tornare alle origini dell'approccio a questo mondo, fatto di condivisone della compagnia dove si gustava assieme un buon bicchiere di vino".

(Si ringrazia Alberto Bottani per la collaborazione)

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