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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Lecco ricorda gli operai deportati nel 1944, "non dimenticarli ma farne memoria"

L'intervento di Marco Viganò, segretario generale Cisl Lecco, in occasione del 72° anniversario

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di LeccoToday

Lecco il 7 marzo 1944, alle 10 del mattino, al suono della sirena (la prova quotidiana dell'allarme aereo) i lavoratori della Rocco Bonaiti, della Badoni, della File, del Caleotto-Arlenico e di altre aziende di minore importanza incrociavano le braccia per due ore. Nelle fabbriche lo sciopero ebbe un successo totale, larghi addentellati nelle fabbriche minori della città e della vallata.

Cessato lo sciopero nelle aziende, continua alla Rocco Bonaiti in quanto i lavoratori ritenevano di dover intensificare l'azione per ottenere miglioramenti aziendali.

Verso le 14.20 piombano in fabbrica gruppi armati di fascisti, con mitra e bombe a mano. Provenivano da Como, chiamati da qualcuno della direzione. Costringono i lavoratori a radunarsi sul piazzale, chiedono chi siano gli organizzatori dell’agitazione. Arrestano 24 uomini e 5 donne, e forniti dalla direzione aziendale di una corda, legano gli operai facendoli sfilare per le vie di Lecco, portandoli oltre il vecchio ponte sull'Adda.

Caricati su un autocarro con rimorchio, vennero condotti a Como, alla palestra comunale, dove restarono sino al 14 marzo e più volte interrogati in Questura. Nel frattempo al gruppo vennero aggiunti altri due operai lecchesi, prelevati direttamente a casa in quando assenti dal lavoro e dagli scioperi per malattia.

All'alba del 14 marzo, i lecchesi vennero portati alla stazione di Como e alle 16 vennero fatti salire su un treno di operai per Bergamo. Alla stazione di arrivo otto di loro vennero rilasciati, gli altri consegnati ai tedeschi e rinchiusi con altre seicento persone arrestate in altre città del nord Italia. Il 17 marzo tutti vennero caricati su treno. Il viaggio si concluse domenica 20 marzo in Austria, a Mauthausen.

Questi i fatti storici.

Oggi siamo qui a fare memoria di quei tragici fatti del 1944 che sconvolsero la comunità lecchese
Proviamo a tenere presente davanti agli occhi il destino di quei lavoratori deportati, percepire le loro paure, il dolore, la disperazione.
Lo dobbiamo fare per non dimenticarli, ma farne memoria non vuol dire solo avere un loro ricordo.
Il ricordo è un pezzo del passato isolato dal suo contesto, messo in cornice.
La memoria invece è il senso, il significato profondo di una vicenda del passato e lo sforzo per raccordarla al presente.
In altre parole, la memoria del passato come insegnamento per il presente e il divenire, come "luce che illumina la strada del futuro", come ci suggerisce Papa Bergoglio.
Così anche l'evento che ricordiamo oggi ci dice di non appiattire la nostra esistenza sotto il peso della ideologia, di non sottovalutare la banalità del male, che ha contraddistinto molti obbedienti servitori del fascismo e del nazismo, ma che è dietro l'angolo della nostra esistenza come, per esempio, nella quotidianità della costruzione di muri, fisici e burocratici, che limitano la libera circolazione delle persone nella nostra democratica Europa, creando condizioni inaccettabili per chi scappa da paesi in guerra o da condizioni di vita disumane, come per chi crede alla creazione degli Stati Uniti d'Europa.
Un sogno, quest'ultimo, nato nelle prigioni del fascismo, che si sta sgretolando sotto i colpi di una politica spesso incapace di guardare oltre il proprio interesse nazionale, dove la paura viene esposta a dimensione mediatica invece di essere razionalizzata.
I fenomeni migratori sono antichi quanto l’uomo ma è da qualche anno a questa parte che hanno assunto per l'europeo medio la dimensione "dell’invasione". Una percezione molto distante dalla realtà.

Nell’ultimo anno è cresciuta nell’opinione pubblica la percezione della minaccia rappresentata dall’immigrazione e dal terrorismo islamico.

Questa percezione è stata via via rafforzata da un lato dalla rappresentazione spesso offerta dei migranti, quali profittatori, estremisti, minaccia all'identità nazionale e, dall'altra, dai fatti accaduti in Francia e a Colonia.

I mussulmani ci "inquietano", ci rendono insicuri, ci ritroviamo a guardare con più circospezione barbe e veli; ma non ci dovrebbero fare altrettanta paura i più di 2 miliardi di dollari investiti in Italia l'anno scorso dai fondi sovrani d’Oriente?

Su questo però, tutti, politici ed economisti, chiudono due occhi, soprattutto sui rischi e gli effetti geopolitici che producono. Il denaro non puzza, specie nell’età della crisi.

Ancora oggi è pertanto necessario fare memoria e tenere teso il filo che lega i popoli non abbassando la guardia contro tutti i razzismi, senza dimenticare che ogni conflitto che si nasconde dietro ad una religione ripropone al genere umano una pagina tra le più brutte della storia: quel dramma che è stata la shoa.

Il sindacato lombardo da qualche anno organizza il treno per Auschwitz.
Pensionati, lavoratori, studenti vivono sulla propria pelle l'esperienza di quel viaggio e la dimensione dell'olocausto che emana in ogni angolo del campo di sterminio.
Anche quest'anno le scuole lecchesi partecipano a questo viaggio.
Quando si ritorna a casa, nelle occasioni che vengono realizzate per socializzare l'esperienza fatta, molti, giovani e meno giovani, raccontano di essere stati presi dalla necessità di guardare in sè per ricercare quel principio di responsabilità che lega l'uomo ai suoi simili.

Auschwitz non ci sarebbe stato senza il principio della discriminazione.
Questo principio torna a tormentare la nostra umanità.

Il razzismo, ammantato da motivi religiosi, è proprio l'aspetto del fascismo e del nazismo che può tornare e diventare lo scoglio più pericoloso per la convivenza. Non abbassiamo la guardia, continuiamo a tenere alta la nostra capacità critica e la nostra volontà di lottare per realizzare quel mondo nuovo che il sangue versato da chi non è più tornato reclama alla nostra responsabilità di cittadini liberi.

Anche le democrazie che abbiamo costruito hanno garantito la pace nel nostro continente, ma non sono state altrettanto capaci di mettere le basi per realizzare relazioni positive con altri popoli e nazioni meno fortunati.

Non possiamo allora scandalizzarci di quello che sta avvenendo.

I muri in Europa hanno segnato la peggiore storia del continente, ritornare a quel punto potrebbe essere la fine del sogno europeo e il ritorno a conflitti che ridurrebbero a poca cosa la già limitata influenza che il nostro vecchio continente può avere sul mondo globalizzato.

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